Ciclo di conferenze su Semiotica e Design – A.A. 2017/18

Pubblicato: 15 Novembre 2017

Un ciclo di conferenze organizzato all’interno del corso di Semiotica della Prof.ssa Francesca Polacci aperto anche ai docenti e agli studenti degli altri corsi, compatibilmente con gli impegni già calendarizzati. La partecipazione a ciascun intervento per gli studenti (ad eccezione degli studenti del corso di Semiotica) rilascia 0,3 CFA. L’incontro è aperto anche ad esterni su prenotazione: workshop@isiadesign.fi.it


17 novembre 2017
ore 14.00 – 18.00

L’utopia del Capitale. La Costa Smeralda e il sogno di non essere qui

Il seminario propone un’analisi del neo-topos Costa Smeralda, brand immobiliare fondato nel 1962 sul tratto nord-orientale della costa sarda, nella località Monti di Mola.
Il lavoro attinge agli studi dedicati da Louis Marin alle utopie e al discorso utopico, da cui raccoglie in particolare l’idea che alcuni luoghi ludici possano essere letti come “miti realizzati” o “utopie degenerate”, discorsi la cui specificità risiede nella dialettica fra la spinta di una contraddizione storica e la messa in scena della sua soluzione mitica.
Sulla scia dell’analisi etnosemiotica di Disneyland tracciata dallo stesso Marin, e attingendo alle teorie geo-filosofiche, fra gli altri, di Carl Schmitt e Franco Farinelli e all’analitica del potere inaugurata da Michel Foucault, l’analisi tenta di mettere in luce un mito estetico, giuridico e socio-economico che riproduce e sublima il conflitto fra vecchi e nuovi sistemi di valori e forme di vita che accompagna secondo Louis Marin il passaggio dalle società feudali al mondo capitalista.
La prima parte si concentra sul dispositivo architettonico e urbanistico della Costa Smeralda, e tenta di mettere in luce le strategie di istituzione e conservazione di un luogo fuori-coordinata, che attingono contemporaneamente all’immaginario rurale e a quello marittimo per allestire l’immagine di un abitare fuori dal nomos, aggregato di monadi autoreferenziali invisibili le une alle altre e sottratte a confini territoriali; la seconda individua nei suoi “usi e costumi” la celebrazione di un soggetto fuori-campo e fuori-misura, trascendente e inaccessibile, punto cieco e centro vuoto rispetto al quale tutto il visibile assume senso e tutti gli individui “finiti” – accessibili alla vista e partecipi della dimensione negoziale dello spazio sociale – risultano indistintamente in difetto.
Diagramma comune alle due valenze di mappa e ritratto è l’aporia topologica espressa dallo stesso neologismo Costa Smeralda, il quale individua indissolubilmente un’area geografica e un marchio commerciale, una porzione di superficie terrestre e un bene di lusso, un punto sulla mappa e il valore aggiunto di un prodotto, senza che i due poli vengano mai a coincidere del tutto o viceversa possano distinguersi e divergere definitivamente. Come tenteremo di mettere in luce, l’intero dispositivo Costa Smeralda si fonda sulla dialettica fra gli spazi incompossibili del territorio geopolitico e dell’universo di marca, fra un’identità visiva che assoggetta il territorio vissuto e abitato allo statuto di scenario, e una scenografia costantemente minacciata dall’eterogeneità e dinamicità dello spazio storico.

Maria Cristina Addis
È assegnista di ricerca presso il Centro En&Tech dell’Università di Modena e Reggio-Emilia, insegna Semiotica per il design presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino e collabora con il Centro di Semiotica e Teoria dell’immagine “Omar Calabrese” (Università di Siena).
Si addottora in Semiotica nel 2011 presso l’Università di Siena con una tesi sulle utopie architettoniche moderniste, e si occupa prevalentemente di architettura e arti viventi secondo una prospettiva che integra sguardo semiotico e prospettive estetico-filosofiche. Ha scritto diversi saggi e articoli su riviste e volumi collettivi di semiotica e critica della cultura, e di recente ha pubblicato L’isola che non c’è. Sulla Costa Smeralda, un’utopia capitalista (Esculapio 2016) e curato insieme a Giacomo Tagliani Le immagini del controllo. Visibilità e governo dei corpi, numero monografico di Carte Semiotiche Annali (2016).


15 dicembre 2017
ore 14.00 – 18.00

Potere, violenza, sensibilità: il cinema di Pablo Larraín come “corpus teorico”

Tutto il cinema del regista cileno Pablo Larraín fa i conti con la storia del secondo Novecento, la trasfigura attraverso gli strumenti della fiction, si confronta con i protagonisti che la hanno segnata e con quanti si trovano presi nelle trame del potere. Iniziata con i drammi e i traumi della dittatura che hanno segnato il suo paese d’origine, l’indagine cinematografica di Larraín si è spinta altrove, fino al cuore degli Stati Uniti d’America.
Attraverso la “trilogia cilena” sulla dittatura, composta dai film Tony Manero (2008), Post Mortem (2010) e No. I giorni dell’arcobaleno (2012), si analizzeranno le rappresentazioni dei momenti traumatici della dittatura ed il ruolo assunto dai dispositivi mediatici all’interno del regime totalitario.
Il dispositivo della confessione e il circuito vittimario sono i nuclei concettuali de Il club (2015), film spartiacque nella filmografia di Larraín, un’indagine che scava nei macabri rapporti tra la Chiesa Cattolica e la dittatura. In Neruda (2016), storia della fuga compiuta dal grande poeta cileno ricercato in patria, sono le caratteristiche del biopic e le modalità di costruzione dell’identità narrativa ad essere messe in crisi. Con Jackie (2017), Larraín svela i meccanismi che permettono di costruire un’immagine efficace del potere, capace di durare nel tempo e giungere sino ai nostri giorni. Nel film, non sono le note immagini catturate dalla cinepresa otto millimetri da Abraham Zapruder a documentare la morte di Kennedy ma è il volto di Jacqueline Kennedy che, come una superficie capace di riflettere e distorcere, restituisce gli ultimi momenti della vita del Presidente.
Il seminario analizzerà fotogrammi e sequenze tratte dai film di Larraín al fine di mostrare come essi costituiscano un vero e proprio corpus teorico, capace di articolare una riflessione sui legami tra potere e violenza nonché sul rapporto tra le immagini mediatiche e le forme di controllo sui soggetti e sulla loro sensibilità.
 
Massimiliano Coviello
È dottore di ricerca in “Studi sulla rappresentazione visiva” presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane. È stato assegnista di ricerca presso l’Università di Siena e attualmente fa parte del Centro “Omar Calabrese” dell’ateneo senese. È redattore del blog “il lavoro culturale” e delle riviste scientifiche “Carte semiotiche”, “Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni”, “L’avventura. International Journal of Italian Film and Media Landscapes”.
Nel 2017 ha scritto, assieme a Francesco Zucconi, “Sensibilità e potere. Il cinema di Pablo Larraín” (Pellegrini). Tra le sue pubblicazioni: “Testimoni di guerra. Cinema, memoria, archivio” (Ca’ Foscari, 2015) e “Sguardi incrociati. Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi” (Fondazione Ente dello Spettacolo, 2011, co-curatela). È autore della voce “Emigrazione” per il Lessico del cinema italiano. Forme di vita e forme di rappresentazione (Mimesis, 2014).