Lezioni di Design – Note in margine
Gilberto Corretti
Lezioni di Design
Note in margine
Prefazione di: Giuseppe Furlanis
Editore: Alinea, Firenze
Collana: Didattica del Design
Anno: 2006
ISBN-13: 978-8860550378
Il luogo: nel mio studio, seduto al tavolo dal lavoro, vicino alla finestra aperta su un orto di periferia inselvatichito.
Gli strumenti: una stilografica di poco prezzo, se scrivo con la biro la mia scrittura è illeggibile a me stesso, il moleskine di turno, copertina nera, formato ventuno per tredici, che mi porto sempre appresso.
I pensieri: sto preparando una lezione per i miei studenti.
Sono venti anni che questo rito si ripete regolare come i quarti di luna ma non mi ha ancora stancato né saziato. Parlo del mio entusiasmo, non del mio corpo dove giorno per giorno il tempo tesse una trama sempre più rigida e fragile. Gli studenti che ho seguito ormai sono una folla, a volte mi figuro di poterli incontrare tutti insieme, forse occuperebbero un intero uditorio. A pensarci mi sgomento.
Spesso ne incontro qualcuno oppure mi scrivono o mi inviano i loro lavori e i loro successi professionali ed esprimono gratitudine. Sono sinceri, ne sono sicuro, e mi meraviglio un poco anche se nel profondo dell’animo spero, anzi desidero che sia così. È questo il salario di un insegnante. Mi accingo di nuovo a preparare una lezione, ancora un’altra ma non la solita lezione, almeno questa è l’intenzione. Forse è questa la ragione per cui mi è difficile seguire un programma o una sequenza organica di temi. Forse è un difetto e mi chiedo se per l’allievo sia più utile seguire un sentiero, una strada finita nei confini e chiara nella destinazione. Forse, ma non potrei farlo perché questa strada mi è sconosciuta o, nel migliore dei casi, cambia continuamente direzione come una lepre che fugge davanti ai cani.
All’inizio del corso un ragazzo, cui avevo chiesto cosa si aspettasse da me, mi ha risposto: vorrei che m’insegnasse un metodo. E io di contro: mi dispiace ma non ho un metodo da darti.
Ho riflettuto sulla mia risposta, forse precipitosa e inopportuna, ma mi è venuta di getto. La cultura di massa ha inculcato la convinzione che qualsiasi cosa si voglia fare nella vita, anche se non è consona alle proprie inclinazioni, la si possa fare frequentando una scuola, qualsiasi sia il proprio vissuto e il proprio patrimonio culturale. Alimentato da questa colossale e demagogica panzana è fiorito un prospero vivaio di formazione a buon mercato che ricorda gli imbonitori da fiera del passato che vendevano la panacea per tutti i mali, dai calli ai dolori mestruali.
Come far capire a questi ragazzi che non esistono soluzioni predefinite ma che devono prendere il mondo nelle proprie mani? Il ventesimo secolo ha segnato la fine del classicismo, le regole prospettiche di un tempo e di uno spazio finito e determinato sono infrante. Ormai il quadro è uscito dalla cornice. All’imitazione della natura fondata sulla certezza dell’esperienza subentra l’incertezza probabilistica e l’inconoscibilità della natura nel suo intimo. C’è stato un tempo in cui queste convinzioni erano confinate entro un cerchio ristretto d’addetti ai lavori e la gran massa delle persone poteva tranquillamente ignorarle. Oggi ci siamo tutti dentro fino al collo nella vita d’ogni giorno.
Siamo animali sociali che affidano il proprio progetto di vita alla rete di relazioni sociali che avviluppa e comprende la società stessa ma il modello socio-economico che finora ha tessuto questa rete è cambiato profondamente: alla certezza, vista come orizzonte cui tendere e base su cui costruire la propria aspettativa di vita, di successo ecc. si è sostituita l’incertezza. Ciò significa elaborare comportamenti che si sviluppano in condizioni d’imprevedibilità e rischio. La fiducia, come qualità richiesta per poter agire in assenza di certezze, costituisce forse la principale di queste attitudini. Ci si deve fidare, di sé e degli altri, per il solo fatto che non si sa come andrà a finire. Ciò implica anche un uso selettivo della fiducia, un bene prezioso che non può essere diffuso a pioggia.
Ogni progetto si basa sulla fiducia. Progettare significa collocarsi ai nodi della rete (economica, culturale, politica ecc.) e contribuire a rendere più fluida la trasmissione di fiducia da un punto all’altro del sistema, essere disponibili a dare credito agli avversari e a rivedere la stessa definizione di avversario senza annullare i conflitti ma traendone occasioni per nuovi obbiettivi. Non si trasmette fiducia se non si ha fiducia in sé stessi: è forse la cosa più difficile da raggiungere.
Autore
Gilberto Corretti è architetto e designer. È nato nel 1941 a Firenze dove vive e lavora. Ha uno studio specializzato nella ricerca e sviluppo del prodotto industriale.
È stato tra i fondatori di Archizoom Associati con Andrea Branzi, Paolo Deganello e Massimo Morozzi, ai quali si sono aggiunti nel 1968 Dario e Lucia Bartolini. Lo studio, una delle voci più autorevoli dell’intero movimento dell’architettura radicale, ha svolto attività fino al 1973, successivamente l’archivio dei disegni é stato acquisito dall’Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma mentre l’archivio delle immagini dal Centro Georges Pompidou di Parigi. Alcuni progetti dello studio fanno parte di importanti collezioni permanenti di musei quali il Victoria and Albert Museum, il Museo del Design della Triennale di Milano, il Museo d’Arte Moderna di New York, il Vitra Design Museum e il Museo d’Arte Contemporanea Pecci di Prato.
È stato professore incaricato presso l’ISIA di Firenze e Roma. Ha collaborato con aziende quali Adica Pongo, Cassina, Cidue, Knoll, Marcatré, Poltronova. È stato coordinatore di Care Toys, laboratorio di ricerca e progettazione di giochi e spazi ludici patrocinato dalla Fondazione Anna Meyer, ISIA di Firenze e Assessorato Pubblica Istruzione di Pistoia.